DESIGN ON MY MIND
di
CECILIA POLIDORI
“Georgia, sweet Georgia,
no peace I find.
Just this old, sweet song
keeps Georgia on my mind…”
“… perché ha detto la verità!
E quando hai sentito la verità,
tutto il resto non conta.”
Lo Sceriffo a proposito di Frank, agente FBI, in:
“Switchback”, ovvero: “ Montagne russe”
titolo di distribuzione italiana: “Linea di sangue”,
film di Jeb Stuart, USA, 1997
E’ da un po’ che vado congetturando
su cosa e come viviamo design oggi. Ne butto giù una traccia, che è poco più dell’essenza di qualche valutazione.
Sono tornata ancora una volta a New York e, come sempre, sono travolta in, e da, “un qualcosa”, che mi assilla.
Questo “qualcosa” è molto potente ed ossessivo qui. Molto più del consueto. Poiché sono certa che qui il design lo adoperino davvero tutti.
Questo “qualcosa” non lo adoperiamo tutti, spesso ci attornia, ci assedia, assorda l’udito e la vista, e anche l’olfatto, il gusto ed il tatto. E, nonostante ci cinga o ci chiuda e delimiti e forse lo si padroneggi o invece ci si incespichi abitudinariamente. E, nonostante sia più o meno appagante o frustrante e ciò comporti, definisca, implichi e suggestioni lo stato d’essere e, anche, lo stato d’animo. Nonostante questo fragore di cose lo si possa definire o sottintendere design, nonostante tutto: l’immersione newyorkese è sempre “qualcosa in più”.
Qualcosa, ad esempio che va oltre l’immagine complessiva del caotico bombardamento metropolitano o della pace disegnata di parchi e giardini, cimiteri e monasteri, efficace e curata come al nord, o efficiente come in mare e nei mercati sull’acqua, o colorata e ciavattosa come ai tropici, e così via.
Ritengo che questo “qualcosa”, qui, sia generato dal design esercitato da milioni di persone in modo esaltante, enormemente più vitale ed intenso di ciò che noi altrettanto quotidianamente maciniamo, utilizziamo, scegliamo o prediligiamo, contempliamo, tolleriamo o reclamiamo, e di cui usufruiamo, in qualsiasi altra parte del pianeta.
La mia stanza d’albergo si affaccia su Union Square e di fronte ho lo studio che fu di Andy Warhol. Warhol, che ritrovo anche in un recente testo sul design donatomi dal suo autore sostiene: “Quel che c’è di veramente grande in questo paese è che l’America ha dato il via al costume per cui il consumatore più ricco compra essenzialmente le stesse cose del più povero. Mentre guardi alla televisione la pubblicità della Coca Cola, Liz Taylor beve Coca Cola, e anche tu puoi berla.”
In questo volume, le parole di Warhol sono seguite da quelle tratte da un mio libro ed in cui anch’io esprimo la mia: “Cos’è il design qualunque? E’ tutta la produzione che ci circonda e che usiamo continuatamene: ed è, spesso, il solo tipo di qualità del nostro vivere.”.
Stimo che queste due frasi racchiudano ancora le sponde del mio odierno ragionamento, ossia: il design ossessiona, qualche volta, il design informa ed il design comunica… ma il design lo adoperiamo ed attraverso il nostro modo di usarlo noi comunichiamo e annunciamo chi siamo.
Il design è verità assoluta e amen. È da sempre traduzione del nostro bisogno e miglioramento delle nostre idee. Il design si usa istantaneo, ma non lo è mai stato. E nemmeno i tempi produttivi si sono, poi tanto, alterati nel tempo.
Il design ci consegna la chiave per capirci, oltre che fare e riferire la nostra storia in una verità concreta, reale, vivace, qualche volta rapida, ma che comunque, e sicuramente, ha accompagnato la cultura di ogni popolo e luogo…. e da sempre. Insisto: non dai cento o duecento industriali anni, ma da sempre, e sempre esprimendone storia, linguaggio, tradizione e, non certo ultimi, gusto ed estetica.
Il design è un valore che ci dona, consegna e riconsegna sempre la storia, la nostra, o di altri, storia e poetica.
Per dirla con Sottsass: "Sono esistite ed esistono ancora culture, anche molto sofisticate, nelle quali scolpire sculture o dipingere storie non aveva e non ha come tappa finale il mercato, culture nelle quali una scultura o una pittura non finisce per diventare «un prodotto» ma si accontenta di segnalare storie segrete o memorie o visioni misteriose...(…)...Ci sono però saperi antichi che tuttora risultano richiesti e preziosi, la cucina ad esempio. Sono state le donne a tramandare certe capacità, costruite con la fatica quotidiana e l'amore, con l'attesa di ritorni e la voglia di offrire come dono ciò che avevano cucinato.” (Ettore Sottsass, “Foto dal finestrino”, Domus, 2003-6). Ciò che descrive Sottsass è valido per ogni tempo e dove.
Il design è non solo nella mia mente. Il design è in ogni mente, non solo perché lo si utilizza-subisce, ma perché ci traduce ciò che siamo e siamo stati capaci di fare anche e soprattutto prima della nostra cultura industriale.
Soprattutto è essenziale e fondamentale il prima, perché ci consente una lettura completa della nostra storia.
Tutte le componenti seriali del design appartengono alle radici della nostra storia e cultura.
Infatti il design, analogamente alla tecnologia, non è solo industriale.
Il design, come l’architettura, non si avvale solo della tecnica industriale e, quindi, non è solo costituito da componenti industriali.
Come la storia dell’architettura non si riferisce solo al moderno e contemporaneo, così il design non è solo storia degli usi moderni e contemporanei.
Come il Partenone ed il Pantheon ci collocano in “chi” siamo e pensiamo, così palesa il design.
Inoltre, ma forse anche qui come sempre e da sempre, il design è ossessivo ed è portatore di slogans.
La cura ambientale planetaria è carico del design quale responsabile del prodotto in plastica? E l’impoverimento alimentare del mais per realizzare prodotti non inquinanti è sempre a carico del design, o il contrario?
Siamo noi, la nostra società, tutta, anche con i poetici “reinventa da te” ad esprimersi attraverso il design, non il contrario.
Faccio un ultimo esempio: Keith Haring era un designer? No. Ma quanto design oggi è fatto sfruttando le icone di K H? E quanti aspetti di luoghi, quante atmosfere, quanti rapporti sono, quindi, facilmente modificati e modificabili attraverso i segni di K H? E quante infinite serie di alternative amalgamate nelle progressioni che preferiamo sono ancora applicabili a questa sua armoniosa impronta?
Cecilia Polidori
Tutte le foto sono dell’Autrice
Didascalie:
Immagine 1:
1.
Union Square a New York, 2010, nel verde con scoiattoli.
2.
Amazzone, prototipo di struttura luminosa in carta recuperata, sperimentazioni del corso di Disegno Industriale, 1° anno Laurea Specialistica, 2008, condotto dall’Autrice, allievo Marco Benincasa.
3.
Athena, rendering del prototipo di libreria richiudibile e trasportabile, in carta recuperata, sperimentazioni del corso di Disegno Industriale, 1° anno Laurea Specialistica, 2009, condotto dall’Autrice, allievo Francesco Salamone, 1° premio al concorso-workshop-asta benefica: “le Ali del Design, costruzione di un kit con Ali indossabili e trasportabili. Sperimentazione a fini benefici dell’impiego di carta e cartone”. Sponsor Comieco, Consorzio Nazionale Recupero e Riciclo degli Imballaggi a base Cellulosica.
Immagine 2:
4.
Union Square a New York, 2009, performance pubblicitaria.
5.
Performance con kirigami realizzati nei corsi di Requisiti ambientali dei prodotti industriali, 3° anno Laurea AGP e di Progettazione per l’industria, entrambi del 2008, condotti dall’Autrice.
6.
Bali, Indonesia, 2008. Una delle Divinità protettive in un villaggio. Ogni balinese produce quotidianamente un centinaio di offerte a varie divinità, dalle più importanti sino alle minime. Non sempre ha la possibilità ed il tempo di confezionare i suoi doni, quindi alcuni isolani hanno come lavoro il sub-appalto dei manufatti votivi.
da: Polidori C., DESIGN ON MY MIND, in: AA.VV., SPAZIO E SOCIETA', Centro Stampa d'Ateneo, Reggio Calabria (ITA),Vol. 1, 2010, pp. 211-215, ISBN: 9788889367452.